id. – Genere: Biografico – Regia: Morten Tyldum – Cast: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Mark Strong, Rory Kinnear, Charles Dance, Allen Leech, Matthew Beard, Tuppence Middleton – Durata: 113 min – Anno: 2014
– La recensione di Cinzia Carotti
– La recensione di Nicolò Barison
The Imitation Game, l’incredibile storia di Alan Turing, il matematico pioniere del moderno computer, che durante la Seconda Guerra Mondiale decifrò l’indecifrabile codice nazista Enigma, portando così gli Alleati alla vittoria, è un biopic solido, molto classico per impostazione, emozionante senza dubbio, ma non completamente convincente.
Partendo dalla regia dello svedese Morten Tyldum, non ci sono guizzi di nessun tipo. La regia candidata agli Oscar è pregna di un’impostazione quasi scolastica che sì, fa scorrere il film senza nessun intoppo, ma senza nessuna immagine lasci davvero il segno. Chi lavora in modo davvero magistrale è il protagonista: infatti è Benedict Cumberbatch a restare nella mente dello spettatore. La sua eccezionale interpretazione di un personaggio fragile, ma risoluto, al limite della sindrome di Asperger, è il vero fulcro di tutta la pellicola. La trasformazione dell’attore inglese è totale e la ricchezza del suo lavoro si compie nelle piccole azioni, piuttosto che nei momenti più drammatici.
Ma ciò che non convince di The Imitation Game è la struttura volutamente non lineare che rispecchia il rompicapo, come suggerito dalle immagini iniziali e come poi sarà tutta la vicenda di Turing. Se il gioco di continui salti tra il 1951, il 1928 e il 1939-1941, funzionano all’inizio, con una serie di rimandi tra un momento e l’altro della vita del protagonista, nella seconda parte, la destrutturazione diventa banale e continua a rimarcare l’ovvio, perdendo così tutta la sua efficacia. Inoltre, non è mai completamente chiaro l’argomento centrale posto sotto lo sguardo del regista, se stia parlando di un’impresa eroica condotta da una delle menti più brillanti del ‘900, se sia la storia di Alan Turing, uomo fragile ed emarginato per via della paura che si scopra la sua omosessualità ai tempi illegale, oppure se sia la storia di un uomo solo che non è capace di relazionarsi con gli altri per via di un trauma infantile. E certamente le didascaliche scritte alla fine non aiutano a capire.
Probabilmente è tutto questo, ma il merito non è certo del regista, quanto quello di Benedict Cumberbatch, ancora.
Per concludere, l’altro grande pregio di The Imitation Game è la colonna sonora di Alexander Desplat, un vero gioiello di musica d’orchestra che con la partitura musicale segue il percorso del protagonista sia dal punto di vista della soluzione del rompicapo che dal punto di vista emotivo.
★★★
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Giuseppe T. Chiaramonte

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