
Genere: Azione, fantascienza, fantastico, avventura Regia: Jordan Vogt-Roberts Cast: Tom Hiddleston, Brie Larson, Samuel L. Jackson, John Goodman, John C. Reilly, Jing Tian, Toby Kebbell, Thomas Mann Durata: 118 min Anno: 2017
Nella terra dove Dio non ha finito la creazione, un mastodontico, incredibile, inimmaginabile primitivo si erge altissimo sull’incontaminata natura e imprime la sua sagoma negli occhi di chi tra il sorpreso e il terrificato si ritrova a guardarlo. Kong, re dell’inesplorato territorio, torna ad intrattenere i cinema di tutto il mondo con un nuovo, gigante film, enorme e rocambolesco come il suo protagonista. Kong: Skull Island è l’ultimo blockbuster sull’universo dei mostri eccezionali e insieme temibili che segnano il loro dominio grazie alla Warner Bros., un vaso di Pandora che dopo esser stato scoperchiato riversa sul pubblico le sue allarmanti nefandezze.
Riuscito nell’arduo intento di far commissionare un’esplorazione su un’isola sconosciuta e misteriosa, William Randa (John Goodman) spinge sé stesso e un manipolo di ricercatori e soldati fin nell’entroterra dell’inesplorata zona, avvolta e protetta da una nube che tenta di rendere quell’oasi invisibile allo sguardo. Appena giunti sull’incontaminata isola i partecipanti alla missione saranno partecipi della furia, dell’incontenibile forza e della fisionomia immensa dell’ingente guardiano Kong, maestoso e incontenibile. Un viaggio che permetterà soltanto a pochi di tornare per poter raccontare la straordinarietà del luogo, una lotta e insieme una scoperta impensabili per l’uomo.
Un giocattolo grande e grosso quello realizzato dal regista Jordan Vogt-Roberts che con Kong: Skull Island segna il ritorno di un personaggio imprescindibile e indelebile nella storia del cinema. Svuotato del suo significato primario – la bestia che viene domata e uccisa dall’aspetto della bella – il reboot del giovane Vogt-Roberts vira in una direzione fatta di esplosioni e combattimenti fino allo stremo per allontanare qualsiasi attaccamento alle sue originarie radici e dare una nuova nascita e un nuovo respiro ad un protagonista di assicurato effetto in grado di prestare la sua figura a vari tipi di narrazione.
Un film che coinvolge già dai suoi titoli di apertura, lo scagliare sullo schermo immagini, colori, informazioni mentre la musica degli anni della Guerra in Vietnam divampava per tutte le radio, ritmi che per mezzo dei dischi dei personaggi risuonano sparati anche nell’ambiente verdeggiante dell’isola del teschio. Jordan Vogt-Roberts crea un turbine di sensazioni amplificate da suoni e fotogrammi sempre abbondanti di elementi stimolanti, facendo roteare la macchina da presa impedendole di fermarsi anche solo per un secondo, rendendola uno strumento in continuo movimento.
Dall’impatto visivo che poco si rifà ad idee propriamente originali – banale, ma necessario sottolineare i molteplici riferimenti a Apocalypse Now – Kong: Skull Island si avvale comunque di un’ottima fotografia realizzata da Larry Fong, che destreggiandosi con pigmenti che risaltano sulle distese alberate, tinteggia di rosso e giallo il campo di battaglia, il richiamo a quel rotondo sole in primo piano che si alza all’inizio della storia e tramonta con la sua conclusione.
Coscienti di un mondo dove i mostri sono reali, in Kong: Skull Island viene forse per la prima volta esplicitato nel modo più diretto possibile il significato di quel sostantivo “King” che negli anni è sempre stato affiancato a Kong: il film mostra apertamente e con tanto di spiegazioni l’aspetto conservativo, ma soprattutto divino dell’esorbitante scimmione, il quale fin dalla sua creazione è stato affrontato, analizzato ed interpretato come forma declinata di un Dio protettore della sua terra e del suo primordiale popolo.
Pur toccando corde più profonde e dedite alla discendenza sacra del bestione, il lavoro di Vogt-Roberts rimane comunque un film disimpegnato di svago che riesce però con capacità a svincolarsi dai soliti stilemi dei blockbuster preconfezionati, mostrando una cura del dettaglio e delle potenzialità cinematografiche davvero tra loro ben oliate. Chiare e necessarie le analogie e le differenze tra pellicole passate e film attuale, anche se su tutte la componente dell’ironia tragica esercita una carica motrice pressante.
Con attori umani che passano assolutamente in secondo piano davanti all’incommensurabilità di King Kong, la consapevolezza di non essere soli in questo mondo inizia con la scoperta dei mostri, un universo che il cinema ha deciso di dedicare interamente a loro.
★★★1/2
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Martina Barone

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