
Id. – Genere: drammatico – Regia: David O. Russell – Cast: Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Isabella Rossellini, Edgar Ramirez, Bradley Cooper, Virgilia Madsen, Diane Ladd, Elizabeth Röhm – Durata: 124 minuti – Anno: 2015
Il cinema di David O. Russel, dopo il suo ritorno in pompa magna con The Fighter, ruota tutto attorno a un’idea di cinema fondata sui personaggi, sulle loro interazioni e su una pesante logorrea da fuori di testa, caratteristica che ricorda Woody Allen, ma che in realtà fa parte di due universi completamente differenti.
La storia di Joy Mangano, una piccola grande storia di emancipazione femminile da parte di una casalinga che negli anni ’60 inventò il Mocio rivoluzionando la vita delle casalinghe, prima, e il modo di fare affari, poi, è costruita attorno alla famiglia di Joy, parte da quel nucleo e si stacca un po’ alla volta fino a rimanere da sola con la protagonista. Non è solo il percorso naturale che la storia deve compiere, ma è anche la regia a isolare poco alla volta Jennifer Lawrence innalzandola a vero centro del film.
David O. Russell si basa su un piccolo dettaglio che i personaggi compiono più volte: se in American Hustle i piedi che toccavano terra erano un piccolo svelamento delle intenzioni dei protagonisti (cioè, mantenere i piedi a terra nonostante le grosse intenzioni e grandi sogni), qui è ancora un gesto ordinario ad avere però un messaggio ambiguo. Gli scambi di baci e le strette di mano descrivono un rapporto di amore familiare o di amicizia, ma allo stesso tempo ne determinano le distanze. I baci più che un gesto di affetto e di unione danno l’idea di un “arrivederci”, allo stesso modo le strette di mano, in particolare quelle tra Joy Mangano e Neil Walker tra i quali si instaura un rapporto di per sé ambiguo e contraddittorio: concorrenti in affari, ma amici.
Sebbene, l’idea del film possa risultare interessante, è la scrittura a lasciar desiderare. David O. Russell riempie la sceneggiatura di una retorica retrograda e sbatte in faccia allo spettatore le metafore (Joy come la cicala che dorme per 17 anni, Joy come la protagonista della soap opera che prende in mano il suo destino) con una pochezza sconcertante. Anche la direzione degli attori lascia perplessi in un gioco altalenante tra il solito stile del regista che coglie i gesti naturali e un’impostazione sopra le righe che prende spunto proprio dalla soap opera di cui sopra e che crea un effetto spaesante.
Joy rappresenta il punto più basso della scrittura del regista newyorkese e nonostante prenda elementi dagli ultimi suoi tre film (The Fighter, Il Lato Positivo e American Hustle), la formula che ha funzionato bene fino a oggi si perde in un’autoreferenzialità che alla lunga stanca. Il film sembra fatto più per attori e regista che per lo spettatore e questa distanza cresce man mano che il film procede, al contrario di quello che dovrebbe accadere.
Joy intrattiene e tiene vivo l’interesse sulle sorti della sua protagonista durante la visione, non c’è dubbio, ma lascia poco o niente e appena usciti dalla sala ci si è già dimenticati del film.
★★
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Giuseppe T. Chiaramonte

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